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Dalle pop-up ai nuovi formati, quale sarà la scommessa vincente per la pubblicità del futuro? Il valore della contestualizzazione
Trascorsi i fasti iniziali, quando le percentuali di click-through raggiungevano livelli astronomici, ed i banner erano visti come una nuova, sensazionale, fonte di promozione e, dunque di guadagno, la pubblicità in Rete negli ultimi due anni è dovuta ritornare, bruscamente, con i piedi per terra. Modelli di business e budget per le campagne promozionali, sono stati riprogrammati una volta raggiunta (spesso a suon di dolorosi fallimenti) la consapevolezza che il Web non è sinonimo di guadagno facile bensì, più realisticamente, rappresenta solo soluzione in più, per farsi pubblicità e far crescere un business.
Lo “storico” banner oggi è sotto processo. Accusato di essere in grado di trasmettere solo un numero limitato di informazioni, a causa delle sue dimensioni ridotte, pare ormai destinato ad andare in pensione. L’industria dell’online advertising è dunque partita con la sperimentazione di nuovi formati, sempre più grandi e, dunque, teoricamente, più efficaci per richiamare l’attenzione del navigatore durante la visita di un sito Web.
Nel corso degli anni sono nati sul Web i fratellini del banner: pop-up, pop-under, skyscrapers (i grattacieli) e gli ultimissimi “point roll”, che hanno aspetto e dimensioni dei banner tradizionali, ma quando l’utente vi passa sopra con il mouse, si espandono fino a quattro volte le loro dimensioni.
In merito alle pop-up (le finestre che si caricano sopra quella del browser) il dibattito è acceso: le statistiche del Gartner Group affermano infatti che il 78.3% delle persone intervistate li trova molto fastidiosi (dicembre 2002). Spesso i pop-up sono confusi con i pop-under (e viceversa), ovvero con finestre separate del browser che si aprono sotto quella aperta dal navigatore ma, la sostanza, non cambia tanto che gli stessi dati sono confermati da Forrester Research secondo cui, sempre più persone decidono di utilizzare software per bloccare i messaggi pubblicitari: il 14% degli utenti ha di recente installato tali applicativi, contro l’1% che si registrava solo un anno fa.
Lo scorso dicembre è stato lo stesso IAB (Internet Advertising Bureau) a suggerire di dare spazio ai nuovi formati e di mettere dunque in pensione il vecchio banner standard (quello di 468 x 60), che pure, stando ai numeri, funziona ancora discretamente (percentuali di ctr del 0,3%). I formati suggeriti dallo IAB sono: il cosiddetto leader board, un gigantesco banner di 728 x 90 pixel da posizionare in cima alla pagina; lo skyscraper, di 160 x 600 pixel da porre in verticale su un lato della pagina; e i formati rettangolari più piccoli quali il 300 x 250 e il 180 x 150.
In Europa, secondo le statistiche, gli skyscraper sono già un formato in grande ascesa. Nel 2001 solo il 4% dei siti esponeva questo tipo di pubblicità, mentre nel 2002 questa percentuale è salita al 15% (fonte LemonAd – febbraio 2003).
Tuttavia, le grandi dimensioni non sono sinonimo di successo, né tanto meno di immediata diffusione sul mercato. Questo cambiamento negli standard imposto (o suggerito) dallo IAB, che può essere interpretato come un tentativo di razionalizzare l’offerta pubblicitaria, in realtà rischia di mettere in difficoltà i siti di piccole-medie dimensioni. Se, da un lato, i grandi portali già offrono questo tipo di soluzioni, o sono comunque in grado di adeguarsi, dall’altro i siti di piccole e medie dimensioni hanno la necessità di pianificare con ampio anticipo i restyling delle proprie pagine, dunque, dimostrano minore flessibilità nell’adeguamento alle novità.
Il sito del New York Times si è spesso distinto per le scelte innovative in campo pubblicitario. A partire da questo mese metterà a disposizione dei marketer anche la “mezza pagina”, come avviene sulla carta stampata, una scelta all’apparenza discutibile ma, che tuttavia, potrebbe rivelarsi vincente, dato che pone una linea di demarcazione netta tra il contenuto editoriale e quello pubblicitario. Spesso infatti, la pubblicità online viene percepita in modo negativo dagli utenti, perché è “mascherata” o forse meglio “mescolata” all’interno dei contenuti. I navigatori preferiscono i messaggi chiari e diretti, piuttosto che quelli quasi subliminali, e la loro percezione, positiva o negativa di un’inserzione, influisce in modo inconfutabile sull’atteggiamento che questi avranno nei confronti di un brand. Come dire: patti chiari, amicizia lunga.
Come spesso accade inoltre, quantità (e dimensioni) non è sinonimo di qualità. Mettere troppi banner, siano essi standard, skyscraper o leaderboard, nuoce al sito che gli esponi ed alle aziende che si promuovono. Secondo eMarketer, il 68% dei navigatori ritiene che già due banner per pagina siano troppi, mentre il 36% afferma che abbandona la visita di un sito con troppa pubblicità.
Ma non è solo nella diversificazione del formato del banner che risiede il successo di una campagna di pubblicità online. La realtà alla quale dobbiamo adeguarci è che l’iniziale idea “un click – una vendita” è stata ormai superata o, quanto meno, adeguata alla nuova situazione di mercato, che impone strategie marketing più ampie e diversificate che vadano al di là del click o dell’impression (esposizione del banner). Attenzione, ciò non significa che il banner vada gettato, anzi ma, semplicemente, che la sua importanza all’interno di una pianificazione strategica deve essere riconsiderata e posta su un livello di non prominenza.
Le grandi società che investono in pubblicità stanno iniziando a destinare parti consistenti del loro budget alla promozione in Rete, a significare un implicito riconoscimento dell’affidabilità nel nuovo mezzo, ritenuto elemento efficace da inserire nel marketing mix tradizionale. Accanto alla televisione, alla radio ed alla carta stampata, anche Internet inizia a ritagliarsi il proprio spazio, a conferma delle potenzialità di cosiddetto “branding” che è in grado di offrire. In media, all’online, viene destinato il 10-15% del budget promozionale previsto.
La scelta delle grandi aziende non deve dunque essere vista nell’ottica del semplice click-through e delle vendite dirette generate dai click sui banner quanto, piuttosto, dall’uso delle “impression” per generare o aumentare nei consumatori la percezione di un determinato marchio. Il Web sta diventando dunque una “spalla” alla pubblicità televisiva, per rafforzare il messaggio trasmesso attraverso gli spot, e ricordare, in un contesto diverso, l’esistenza di un prodotto o di un servizio.
Secondo le statistiche le corporation che decidono di fare pubblicità online, scelgono soprattutto di affidarsi ai formati di grandi dimensioni, quali skyscraper e leader board, ed hanno dimostrato di prediligere i cosiddetti “floating-ads”, come l’eye-blaster, elementi che, “fluttuano” nella schermata ed appartengono alla categoria dei rich media.
E proprio i rich media, secondo le ricerche di Double Click (Q3 2002 Ad Serving Trend Report – PDF), sono i formati più in crescita nel panorama dell’online advertising, rappresentando ora il 25% dei messaggi pubblicitari proposti, con una crescita del 34% rispetto al primo trimestre del 2002. I rich media indubbiamente sono più costosi da realizzare, ma permettono una targetizzazione maggiore del messaggio (contenente più informazioni e con grafica accattivante) e, dunque, automaticamente, diminuisce la quantità di messaggi da trasmettere all’utente per ottenere l’effetto promozionale desiderato.
Attraverso Macromedia Flash si possono realizzare messaggi animati di elevata qualità grafica. Al di là dell’aspetto estetico, è però importante che le animazioni si carichino in modo veloce, perché su Internet i navigatori si muovono con estrema rapidità da una pagina all’altra, in un “mordi e fuggi” di informazioni che potrebbe rendere inutile ogni sforzo promozionale.
Anche se dispongono di una connessione ADSL, secondo i dati di Forrester Research, i navigatori non cambiano idea sulla pubblicità: l’insofferenza infatti non è solo legata alla velocità (o meglio al rallentamento) di navigazione ma, soprattutto, al “fastidio” per la presenza di messaggi intrusivi non richiesti e, spesso, neppure interessanti.
E qui entra in campo un’altra parola chiave della pubblicità online del futuro (e del presente): contestualizzazione.
Contestualizzare, in parole povere significa trasmettere il giusto messaggio, alla persona giusta, nel momento giusto e, naturalmente sul sito giusto. Ovvero, si tratta di creare una sinergia tra il contenuto (pubblicitario) e l’utente. Trasmettere un messaggio specifico, che possa essere utile ed interessante in un determinato momento della navigazione.
Facciamo un esempio pratico: Mario Rossi, impiegato amministrativo di 30 anni, durante la settimana, utilizzerà Internet in ufficio per raccogliere informazioni sulle ultime evoluzioni normative in materia fiscale, piuttosto che per conoscere le prossime scadenze di pagamento. Ma lo stesso Mario Rossi di 30 anni, è anche un appassionato di motociclismo e, nel week-end naviga sul Web da casa, per seguire le ultime notizie sul Motomondiale e le novità del mercato delle due ruote. La persona è dunque la stessa ma, gli interessi, a seconda del giorno della settimana, cambiano in modo radicale, a testimonianza della difficoltà ma, anche, della ricchezza delle opportunità di targetizzazione. Una cosa è cercare informazioni utili per il lavoro, un’altra e navigare per divertirsi e, nei due casi, la predisposizione ad uno stesso messaggio pubblicitario può variare in modo sostanziale.
Per questo motivo i network che vendono spazi pubblicitari si stanno adeguando alle nuove esigenze del mercato, destinando appositi spazi a chi vuole promuoversi dalle 8 alle 18, ovvero durante le ore durante le quali il traffico Web raggiunge i picchi. Per quel che riguarda contestualizzazione e targetizzazione del messaggio, il discorso è molto ampio e qui è stato solamente accennato. Restare sintonizzati, avremo modo di parlarne nelle prossime settimane.
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