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La Web Tax non piace a nessuno

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La Commissione Bilancio della Camera l'ha approvata lo scorso venerdì e, da allora, si moltiplicano le lamentele fuori e dentro la Rete: la Web Tax, il provvedimento che impone agli operatori esteri l'apertura di una partita IVA italiana, genera malcontento. E mentre il neoeletto segretario del PD Matteo Renzi la definisce come il passaggio "dalla nuvola digitale a quella di Fantozzi", quali sono le conseguenze per imprese e utenti italiani?

Il contesto della nascita della Web Tax non è dei più felici: negli stessi giorni, infatti, è stato approvato il nuovo regolamento AGCOM così come anche l'aumento dell'equo compenso per la SIAE. Il primo impone nuovi mezzi di contrasto alla pirateria online con l'AGCOM che, di fatto, si sostituisce alla magistratura. Un provvedimento che stringe l'occhiolino ai detentori di diritti ma rischia di limitare la libertà degli utenti, perché il sistema di "takedown notice" e di difesa "fast" sarebbero poco idonei a ben rappresentare chi del Web un lavoro non ne fa. L'equo compenso, invece, regala rincari dal 75% al 500% sulla tasse SIAE sui supporti di memorizzazione: un'anomalia, almeno a livello teorico, perché se l'utente paga la presunzione di scaricare contenuti illegali, questi legali non diventano previo pagamento dell'obolo? E infine la Web Tax, un'idea nata per contrastare le grandi multinazionali - Google e Amazon, ad esempio - che fatturano all'estero e per recuperare gettito fiscale, una morsa però che penalizza utenti e piccoli venditori.

Il provvedimento è semplice: chiunque opererà nel commercio elettronico italiano, dovrà dotarsi di una partita IVA italiana. Google, Amazon e Apple - giusto per citarne alcuni - non potranno quindi far più risultare una fatturazione in Irlanda, dove spendono meno in tasse, ma dovranno provvedere al fisco tricolore. Ma se i big di settore non avranno di certo troppi problemi a "stivalizzarsi", che ne succederà dei piccoli soggetti che popolano il mondo del Web, tra aste e vendite al dettaglio? Di certo il piccolo negozio tedesco che spedisce materiale elettronico in Italia non ha vantaggio ad aprire una Partita IVA e, così, gli utenti tricolore saranno espulsi dal commercio online transazionale. Inoltre, una simile norma rischia di essere in contrasto con il trattato di Schengen, che impone la libera circolazione delle merci all'interno del territorio europeo. E che dire delle piccole imprese e delle startup a stelle e strisce, che non potranno più acquistare servizi quali hosting, server, cloud, advertising e molto altro all'estero, perché quasi certamente nessun operatore di settore aprirà una PI italiana giusto per far felice il nostro fisco? E come reagirà il consumatore finale, quando si vedrà negato l'acquisto di un abito proveniente dalla Svezia, introvabile da Val D'Aosta a Sicilia? La Web Tax, in altre parole, rischia di erigere un muro invalicabile tra l'Italia e il resto del mondo. E, anzi, potrebbero esservi anche ripercussioni: e se, per la legge del contrappasso, le altre nazioni decidessero di imporre una fiscalità locale per gli italiani che operano oltre confine?

In definitiva, il provvedimento che vede Boccia fra gli ideatori non piace a nessuno. Protestano gli utenti, protestano le startup, protestano i politici di destra e sinistra (Antonio Palmieri per Forza Italia e Marco Meloni per il PD, giusto per citarne un paio), se ne lamenta addirittura Forbes e Confindustria Digitale.

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