HTML.itHTML.it


 Editoriale di HTML.it

  Free Internet, quale futuro?
    Venerdì 12 febbraio 2001

Sembra una vita, ma la prima proposta di accesso gratuito a Internet in Italia risale “soltanto” a due anni fa. Sarà un caso (non lo è), ma partire grosso modo da quella data, la diffusione di Internet nel nostro paese ha subito un boom senza precedenti, tale da trasformare in tempi brevissimi un fenomeno quasi di nicchia in una pratica di massa. È chiaro che in questa improvvisa accelerazione, oltre al free access, hanno giocato anche altri fattori, anzitutto la sempre più diffusa consapevolezza del ruolo ormai imprescindibile della rete nei paesi ad economia avanzata, e poi il martellamento dei media, l'interesse crescente delle istituzioni, e magari anche la moda, la paura di essere tagliati fuori dalla “società dell'accesso”, di vedersi improvvisamente trasformati in cittadini di serie b. Fatto sta che oggi l'Italia, pur non avendo ancora raggiunto livelli di diffusione adeguati al suo ruolo economico e sociale in Europa, può ormai contare su un parco utenti più che dignitoso e “se – come sembra probabile - questa tendenza continuerà, potrebbe arrivare “in quota” nel corso di quest'anno”.

Quando lanciò TiscaliFreeNet Renato Soru era ancora quasi sconosciuto, così come semisconosciuta era la sua società, Tiscali, uno dei tanti operatori telefonici nati a seguito della liberalizzazione del mercato delle telecomunicazioni. Ma le cose iniziarono a muoversi in fretta, e il piccolo Isp sardo bruci ò tutte le tappe in tempi brevissimi. Inizio delle attività: gennaio del 1998. Lancio del primo servizio di accesso gratuito a Internet in Italia: marzo 1999. Quotazione in borsa: ottobre 1999. Pochi mesi dopo, il titolo, collocato inizialmente a 46 euro, schizza oltre quota mille, arrivando quasi a eguagliare il valore di mercato della FIAT. Certo, qualche tempo dopo si ridimensiona sensibilmente, ma in ogni caso, alla fine del giugno 2000, la società sarda capitalizza ancora oltre 10 volte il collocamento.
Nel frattempo, molte cose sono cambiate nel panorama degli Internet Service Provider italiani, e in buona parte per merito (o per colpa, dipende dai punti di vista) proprio di Tiscali.

L'idea di fornire un accesso gratuito alla rete non fu accolta con favore dagli altri operatori del settore. Anzi, le critiche a questo intraprendente nuovo arrivato furono parecchie, e tutte piuttosto aspre. Tuttavia, nel giro di pochissimi mesi, un gran numero di concorrenti dovette rassegnarsi a imitare le nascente stella di Tiscali, pena la scomparsa dal mercato. Il risultato è quello che tutti conosciamo: uno slancio fortissimo, e in buona parte imprevisto, della diffusione della Rete nel nostro paese. E non solo nel nostro paese. Il free access è in effetti un'invenzione anglosassone. Nasce ad opera di Freeserve, una società del gruppo Dixons nata nel settembre del 1998, che, una volta lanciato il proprio servizio gratuito comprensivo di e-mail e spazio web, raggiunge nello spazio breve di appena 10 mesi ben 1,25 milioni di abbonati, esordendo brillantemente anche in borsa, sia in quella inglese che al Nasdaq. L'affare viene fiutato in fretta anche da altri operatori, e il free access diventa in breve tempo la modalità di accesso preferita da milioni di utenti sparsi un po' ovunque, dal Belgio al Brasile fino agli USA.

Eppure oggi sono ormai in molti a sostenere l'insostenibilità di questa formula. Dobbiamo cominciare a capire, ci dicono, che l'epoca dell'Internet gratis sta per terminare. Quando fanno queste affermazioni, gli analisti non si riferiscono solo al free access, ma anche e soprattutto a tutti quei servizi gratuiti che la rete ha finora distribuito con così ampia generosità: software, caselle di posta, addirittura PC offerti a costo zero in cambio dell'attenzione di chi lo riceveva. La situazione può essere utilmente riassunta così: “Quelli che fino a ieri si sono sbracciati per spiegarci che era importante l'idea e non la sua immediata redditività, oggi ci spiegano (con altrettanta convinzione) che nessuna grande idea può ripagare i suoi finanziatori fra tre o quattro anni e che il tempo delle fiduciose attese è da considerarsi finito”.

Senza addentrarci nel difficile problema dell'accessibilità gratuita delle numerosissime risorse della rete (un problema di fondamentale importanza, non solo economica), cerchiamo di concentrarci sul destino del free access, vale a dire dell'abbonamento gratuito a Internet. Davvero anche questa formula ha i giorni contati? E se così fosse, perché?

Diciamo subito che l'abolizione del free access, per quanto teoricamente possibile, è ancora molto lontana, anzi forse è semplicemente improponibile. E non solo perché gli accessi senza canone fanno da volano a tutta una serie di altre iniziative commerciali (e-commerce, offerte flat, ADSL, ecc.), ma in primo luogo perché, nel tanto decantato free access, di realmente free (cioè gratuito) non c'è praticamente nulla: ISP e operatori telefonici vari guadagnano vere e proprie montagne di quattrini con le tariffe a tempo (i famigerati “scatti”), montagne in genere assai più alte e robuste di quelle che guadagnerebbero dalla riscossione di un canone fisso ma senza scatti durante la chiamata.

Dire che il free access è un inganno perpetrato ai danni del consumatore è senza dubbio eccessivo, tuttavia è indubbio che il larghissimo favore che questa formula ha riscosso presso gli utenti (parliamo soprattutto dell'utenza consumer, non di quella business) è in buona parte frutto di un equivoco. La sua fortuna è probabilmente dovuta soprattutto all'effetto psicologico dell'offerta: vediamo un po' che cos'è questa rete di cui parlano tutti, tanto dare un'occhiata non mi costa quasi nulla, né più né meno che fare una telefonata a un amico che magari abita a due isolati di distanza. È così che migliaia di adolescenti si sono avvicinati a Internet, senza nemmeno la necessità di dover chiedere ai genitori i soldi per pagare un abbonamento a qualcosa che all'epoca neppure sapevano esattamente cosa fosse. Vero è che prima del free access la situazione, almeno in Italia, era ancora più assurda: il costo del canone (circa 200 mila lire annue) non eliminava ma si sommava a quello della chiamata – una situazione chiaramente tutt'altro che ideale per favorire la crescita e il consolidamento dell'utenza Internet.

Oggi la crescita c'è, ma con la crescita è arrivata anche una maggior consapevolezza dei costi reali del tanto sbandierato free access. Le bollete astronomiche non sono più sporadici episodi ma, per gli internauti più accaniti, rappresentano la norma. Ecco quindi apparire da pochi mesi a questa parte un'altra parolina magica: flat rate. Si tratta di un'espressione anglosassone che tradotta alla lettera significa “tariffa piatta”, cioè bloccata, fissa: un canone mensile oppure annuo che dovrebbe garantire l'accesso alla rete 24 ore su 24 senza più l'incubo delle tariffe a tempo. Un'offerta resa possibile dalla liberalizzazione, anche in Italia, del mercato delle telecomunicazione, ormai quasi completamente realizzata, malgrado il fatto che il tanto sospirato ultimo miglio (la tratta di cavo che connette le nostre case o i nostri uffici con le centrali pubbliche di proprietà delle varie compagnie) rimanga ancora oggi appannaggio esclusivo della Telecom (ancora per pochissimo, sembra).

Le flat rate (che negli USA sono la norma da parecchio tempo) hanno riscosso subito un notevole successo, specie tra i suddetti “internauti accaniti” che credevano di aver finalmente trovato il modo di navigare quanto volevano senza essere costretti a svenarsi a forza di scatti e bollette. Dico credevano perché, accanto a qualche utente soddisfatto, convivono parecchi sottoscrittori inferociti dalla scarsa qualità del servizio. Un numero improbo di tentativi per riuscire a connettersi, sconnessioni frequentissime, lentezza nei collegamenti, ecc.: sono solo alcune delle inefficienze denunciate. Inefficienze così numerose e frequenti che gli operatori hanno pensato bene di cominciare a offrire non più l'accesso 24 ore su 24 (che di quelle inefficienze è uno dei principali responsabili, dato l'iper-affollamento dei server che ha prodotto), ma pacchetti differenziati a seconda delle esigenze, e dei portafogli, degli utenti.

Soldi in cambio di qualità, ecco qual è il futuro (e in larga misura già il presente) degli abbonamenti per accedere alla rete.

di Guerino Sciulli

Tutti gli editoriali

Torna a inizio pagina