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Ubuntu e le sue "remix": considerazioni

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Recentemente è stato pubblicato su TechRepublic un articolo che parla di dieci possibili "remix" di Ubuntu, che a detta dell´autore se vedessero la luce sarebbero piuttosto gradite; tra queste, sono state indicate alcune distro già esistenti ma dallo sviluppo discontinuo e in alcuni casi abbandonato, come OpenGEU, una spin di Ubuntu con Enlightenment 17 come ambiente predefinito, e divenuta celebre per una scaramuccia con Canonical sul nome della distribuzione.

L´articolo evidenzia alcune necessità, come ad esempio il bisogno, di kit già pronti per svolgere determinate mansioni, tuttavia con il tempo le remix di Ubuntu, come anche di altre distro come Fedora, hanno avuto sempre meno successo; si è visto infatti che a meno della necessità di dover fornire più immagini ISO con diversi ambienti desktop (piuttosto pesanti) predefiniti, comunque le remix basate sullo svolgimento di uno specifico compito sono piuttosto ridondanti.

Complice la ricchezza dei repository principali di una distribuzione come Ubuntu, e la maturità dei tool di gestione dei pacchetti, in realtà il lavoro di personalizzazione del software installato porta via talmente poco tempo da non giustificare un lavoro di sviluppo a priori. Se, poi, nelle remix venissero inseriti software aggiuntivi non presenti nei repository della distribuzione madre, con tutta probabilità basterebbe svolgere il solo lavoro di impacchettamento direttamente per la distro, senza necessità di realizzare un´immagine apposita per una "nuova" distribuzione.

Certo, la creazione di una remix ha i suoi lati positivi; comunque una volta installato il sistema ci si risparmia un lavoro di configurazione che in alcuni casi può risultare piuttosto complicato e lungo.

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