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Guetzli, il nuovo JPEG encoder open source

Guetzli, il nuovo JPEG encoder open source
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La compressione delle immagini è uno dei temi più caldi fin dalla nascita del web, infatti il problema del peso delle immagini in rete riguarda ancora oggi gli utenti con connessioni poco prestanti o con piani dati limitati. Per risolvere almeno in parte tale problematica, Mountain View ha realizzato di recente un nuovo JPEG encoder open source chiamato Guetzli.

Secondo i benchmark operati dal team di sviluppo, questo nuovo algoritmo di compressione per le immagini permette di ridurre il peso degli elementi grafici del 30% rispetto a quando si usa la più comune libreria libjpeg, senza intaccarne la qualità. Inoltre Guetzli genera esclusivamente sequential (non-progressive) JPEG, cosi da agevolare e velocizzare anche il processo di decompressione.

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Guetzli suddivide il processo di compressione dei dati in tre step, per questo motivo è anche definito come un algoritmo di multi-stage compression, ovvero: la color space transform, la discrete cosine transform, ed in fine la quantization. Durante questi tre stadi l'encoder stabilisce la giusta via di mezzo tra la perdita di qualità/definizione e la dimensione del file, andando dunque a creare un file più contenuto nelle dimensioni ma, per quanto possibile, della stessa qualità.

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Tuttavia questo processo non è rapido, infatti questo algoritmo impiega molto più tempo rispetto alle altre soluzioni dello stesso genere per comprimere le immagini. Secondo il suo team di sviluppo si tratta di un compromesso accettabile, anche se proprio in ambito web la velocità è un punto chiave, sacrificare più tempo per ottenere un peso minore ed una qualità più elevata sarà probabilmente la formula vincente nel settore della compressione delle immagini.

Guetzli viene sviluppato da diversi anni ma solo in questi ultimi mesi Google ha deciso di iniziare a promuovere il suo utilizzo su larga scala, probabilmente perché i suoi sviluppatori lo ritengono sufficientemente maturo per l'uso nei contesti di produzione.

Via Google Research Blog

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