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Chiedere di disabilitare Ad-Block funziona?

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Considerata la diffusione dell'advertising sia sui classici siti che sui social network, sempre più utenti si sono affidati a plug-in e similari per bloccare le pubblicità più intrusive. Gli store dei principali browser, tra cui Chrome e Firefox, sono infatti ricolmi di ad-blocker e, in tempi recenti, sono stati gli stessi browser a inglobare funzioni analoghe. Per evitare decrementi nella visualizzazione degli ads, diversi editori hanno deciso di applicare una pop-up di copertura sulle pagine Web, con la richiesta di disabilitare l'ad-blocker in uso. Ma questo sistema è davvero efficace, porta ai risultati sperati?

Rispondere alla domanda non è semplice, poiché ci si trova a effettuare un trade-off tra le necessità di guadagno degli editori, tramite l'advertising, e la libertà dell'utente di non essere sottoposto continuamente a comunicazioni intrusive.

Perché gli utenti usano gli ad-blocker?

La pubblicità online non può essere considerata alla stregua di quella solitamente diffusa tramite i media tradizionali. Mentre l'utente deve infatti attendere il termine degli spot durante una trasmissione televisiva, nella maggior parte dei casi banner e video sul Web non impediscono di accedere immediatamente alla risorsa ricercata. Perché, allora, i navigatori sposano sempre più la filosofia degli ad-blocker, in assenza di una severa limitazione delle loro attività?

La risposta è molto semplice: nella maggior parte dei casi, la comunicazione pubblicitaria non è ben implementata. Il problema più frequente è l'immotivato sovraccarico della CPU, dovuto alla compresenza di più banner animati o video all'interno della pagina navigata, tanto da rendere lo scorrimento della stessa a scatti o impossibile senza ricorrere a strumenti per limitarne la presenza.

Sempre più spesso, invece, è un forte disequilibrio tra la risorsa richiesta e gli spot precedenti a sollevare frustrazione: quante volte, ad esempio, ci si imbatte in un video di pochissimi secondi, anticipato da un pre-roll pubblicitario prossimo al minuto? È facile comprendere come nessun utente sia disposto a subirsi due minuti di spot a fronte della visione di un video, magari rubato dai social, dedicato a un meme virale di una decina di secondi.

Ancora, sovente l'utente è sottoposto ad annunci provenienti da provider la cui affidabilità non è certa, di conseguenza monta la paura di essere esposti a virus o malware, nonché a un tracking che possa mettere in pericolo non solo i propri dati di navigazione, ma anche quelli sensibili.

L'utilizzatore non è quindi contrario tout-court alla pubblicità, quest'ultima deve essere però proposta con criterio all'interno delle pagine, non deve appesantire le performance del device in uso fino a renderlo inutilizzabile, deve essere equilibrata rispetto alla risorsa richiesta e provenire da brand e provider di certificata affidabilità.

Richiederne la disattivazione funziona?

L'implementazione di sistemi che richiedono all'utente di disattivare i loro ad-blocker potrebbe non essere efficace. Sebbene nel breve periodo lo stratagemma possa portare a un aumento delle visualizzazioni degli ads, nel lungo può disturbare la propria audience, poiché l'utente è istintivamente portato a cercare l'informazione richiesta altrove anziché disattivare i plug-in in uso.

Medium riporta un test condotto da Forbes nel 2016, quando per un breve periodo la testata ha richiesto agli utenti di disattivare i sistemi di blocco per proseguire nella navigazione.

Su 2.1 milioni di visitatori unici analizzati in un trimestre, circa 903.000 - pari al 42.4% - hanno acconsentito all'esclusione dell'ad-blocker per accedere ai contenuti. Questo ha permesso di recuperare 15 milioni di visualizzazioni sugli ads.

Dei dati incoraggianti di primo acchito, ma basta cambiare prospettiva per rilevare un'altra realtà: la maggior parte del campione - il 57.6% - si è rifiutata di esaudire la richiesta. E, trovandosi la strada bloccata, è quindi probabile che si tratti di navigatori che hanno premuto il tasto "indietro" sul browser per tornare sul motore di ricerca e trovare altrove l'informazione di cui si aveva bisogno.

Si viene quindi a generare una sorta di circolo vizioso: si recuperano impression pubblicitarie, ma si perde in base d'utenza totale, uno dei fattori che più contribuisce alla vendita degli spazi per lo stesso advertising.

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