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 Editoriale di HTML.it

  Microsoft VS Open source
    Sabato 12 maggio 2001

Lo scorso giovedì 3 maggio Craig Mundie, un vecchio dirigente di Microsoft, ha tenuto discorso alla New York University Stern School of Business dal titolo The Commercial Software Model. In questa breve orazione, Mundie ripercorre tutta la recente storia di quella che chiama la IP-Economy, ossia l'economia legata al progresso delle tecnologie in generale e della telematica (la rete Internet) in particolare.

La storia della rete come medium non di nicchia viene divisa in tre periodi:

Primi anni '90 Nascita del World Wide Web e prime avvisaglie del possibile utilizzo commerciale della telematica.

Fine anni '90 Spostamento della base di profitto dai prodotti tecnologici ai contenuti (Yahoo!) e alle piattaforme di commercio elettronico (Amazon).

Oggi e nel futuro Interconnessione dei diversi dispositivi di accesso alla rete in modo da dare alle singole persone il potere di usufruire della tecnologia sempre e dovunque.

L'ultima fase naturalmente corrisponde alla piattaforma .NET, progetto su cui Redmond sta puntando moltissime delle sue carte e investendo moltissimi dei suoi soldi. Non a caso nel discorso di Mudie si fa esplicito riferimento a tutto ciò: «la fase 3 è il focus della strategia Microsoft .NET». Questa fase 3 ha poi un nome e una strategia ben precisa per Microsoft chiamata Commercial Software Model.

Il modello del software commerciale si basa su due precise fondamenta
  • La fine, senza speranza, dell'Internet gratis, sommerso dalla insostenibilità del modello e dal numero, ormai crescente, dei fallimenti di settore.
  • La presunzione che il software debba essere sempre legato ad una specifiche proprietà intellettuale. In caso contrario nessun profitto sarà generato dalla sua produzione e vendita e nessun nuovo motore trainerà la nuova, futura economia.
Bene. Il discorso del dirigente di Redmond potrebbe, con tutti i distinguo possibili, filare. In un'ottica di propaganda della propria immagine e dei propri sforzi si può anche rendere più accomodanti alcuni concetti, se ne può ammorbidire le punte meno ostiche. Si può, insomma, dare una propria visione della realtà economica e commerciale. Ciò che invece è piuttosto insostenibile è ciò che Mundie ha espresso nelle ultime battute del discorso. Quando cioè ha preso in considerazione lo sviluppo del software open source, aggiungendo concetti a quanto già detto da altri colleghi.

Secondo questa visione, sviluppare software lasciando libertà di modificarlo, copiarlo e ridistribuirlo (ciò che avviene nei modelli più puri di software open source) è una pratica che poteva andare bene nelle primissime fasi dello sviluppo della rete (anni '60 e '70), ma è del tutto insostenibile in una fase di mercato avanzata come quella che stiamo vivendo in questo periodo. E questo non solo a causa dell'evidente distinzione fra software commerciale (ossia prodotto per essere primariamente venduto) e software open source, ma anche per demeriti oggettivi del secondo modello.

Il software libero avrebbe, in quest'ottica, anche alcune serie colpe: sarebbe poco stabile perché non prodotto da un'unico team di sviluppatori, sarebbe altresì poco sicuro e sovente incompatibile. Inoltre metterebbe in serio pericolo una delle due fondamenta di cui abbiamo parlato poco sopra: la proprietà intellettuale sarebbe in questo caso "violata" dalla possibilità di rendere liberamente modificabile ogni pezzo di programma.

«D'altra parte, due decenni di esperienza hanno ripetutamente mostrato come il modello economico che protegge la proprietà intellettuale e il modello commerciale che risarcisce dei costi di ricerca e sviluppo creano impressionanti benefici economici distribuendoli su larga scala»

Anche in questo caso Mundie ha in mente, per i due decenni che cita, l'esperienza della sola Microsoft anni '80, ossia il recupero pezzo dopo pezzo di quote di monopolio nel campo software. Un monopolio che l'ha portata in contrasto con le leggi degli Stati Uniti e le leggi della Comunità Europea. In nome del mercato si è allora sostenuto che tutto ciò non poteva essere irregimentato, con le leggi del mercato in mano si dice ora che il software open source è pericoloso economicamente ed è pericoloso socialmente.

Lasciando da parte le analisi specifiche sulla validità del software open source che già altri hanno speso sull'argomento (se ne trova una veloce ma utile rassegna sulle pagine di LWN.net), c'è bisogno di soffermarsi un momento su ciò che queste dichiarazioni mettono pesantemente in discussione. Ossia il modello tipico della rete, ciò su cui essa e nata e ciò su cui essa si è sviluppata.

Bill Gates ha creduto pochissimo, fino a tre, quattro anni fa, nelle potenzialità dell'Internet e forse i dirigenti di Redmond ricorderanno poco della passata storia della rete. Tuttavia è bene ricordare come lo sviluppo delle infrastrutture, dei programmi, dei protocolli, di tutto quanto insomma serve per utilizzare la telematica è stato possibile solamente in un ambito di condivisione di risorse, condivisione spesso gratuite, senza balzelli, tasse o copyright. Non avremmo mai avuto un medesimo sistema di interconnessione mondiale (World Wide Web) se non ci fosse stato lo spirito collaborativo e spesso disinteressato proprio delle alte comunità scientifiche.

La stessa Microsoft dovrebbe saperlo bene. Internet Explorer deve la sua estrema diffusione non solo al fatto che era presente in ogni installazione di Windows ma anche perché fu rilasciato, e con molta probabilità continuerà ad essere distribuito, gratuitamente, ossia in opposizione al Commercial Software Model che viene acclamato oggi.

Ma c'è qualcosa in più. Nell'indicare nel software open source un modello di business insostenibile, Microsoft addita al mondo il suo più pericoloso nemico nella diffusione del proprio modello di business. Il software open source sta conquistando sempre più pezzi importanti di mercato. Tra le soluzioni ideali ed efficaci diffusissime potremmo limitarci a ricordare: il web server Apache (il più utilizzato su Internet), nel mercato della produttività da ufficio si attende il rilascio prossimo di Staroffice 6.0, il PHP sostituisce con efficienza la piattaforma ASP, anche nel campo dei sistemi operativi Linux sta piano piano guadagnando sempre più visibilità.

Microsoft, insomma, ha paura. Le sprezzanti parole con cui viene definita la comunità di sviluppatori open source, piccoli sprovveduti di fronte alla grande casa del software, è sintomo di un timore che sembra a mano a mano farsi più reale. Alla vigilia del lancio della piattaforma .NET, che ha il "semplice" obiettivo di mettere sotto un unico marchio migliaia di dispositivi e tutto ciò che passerà sulla rete, è necessario arare il terreno, bonificare le aree più incolte, estirpare le piante che intralciano la monocultura. Solo in questo modo potremmo dirci figli di un unico e tranquillizzante padre.

di Francesco-Saverio Caccavella

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