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Commons Clause: un pericolo per l'Open Source?

Commons Clause: un pericolo per l'Open Source?
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Di recente nel mondo open source si stanno diffondendo un nuovo tipo di licenza software chiamata Commons Clause. In passato era difficile riuscire a separare le licenze libere e aperte da quelle proprietarie, tuttavia dopo molti anni di lavori si è riusciti a racchiudere le soluzioni permissive all'interno delle famose "quattro libertà" contenute nella Open Source Definition redatta dalla Open Source Initiative.

Ufficialmente la Commons Clause non è una licenza open source e nasce dall'esigenza di coprire alcuni aspetti legali di cui necessitavano determinati progetti senza ricorrere per forza ad un rilascio sotto licenza proprietaria. Infatti la Commons Clause viene spesso applicata in aggiunta ad un'altra licenza open source, magari solo a determinate porzioni di codice, come ad esempio la GPL.

Lo stesso sito ufficiale della Commons Clause tiene a sottolineare questo aspetto, applicandola ad un progetto open source il codice sorgente resterà disponibile a tutti e andrà a soddisfare molti degli elementi della Open Source Definition (accesso gratuito al codice sorgente, libertà di modifica e libera ridistribuzione). Ma la Commons Clause impedisce di sfruttare il codice per le applicazioni commerciali.

Una volta applicata la Commons Clause essa comprenderà solo le modifiche al codice ricevute successivamente alla sue applicazione. Dunque il codice originale resterà di fatto ancorato alla licenza open source. Per alcune aziende si tratta di una modalità più semplice con cui diffondere un prodotto, compreso il suo codice, impedendo però che dei concorrenti sfruttino a proprio vantaggio tale sorgente.

La Commons Clause sta avendo un discreto successo, tuttavia la sua rapida adozione potrebbe portare dei problemi all'interno dell'ecosistema open source forzandolo verso un cambiamento radicale. Uno dei primi a lanciare l'allarme è stato Andy Updegrove, legale che per anni si è occupato proprio delle licenza open source, il quale ha scritto un lungo articolo a riguardo.

Per Updegrove la Commons Clause ricalca vagamente i principi delle copyleft license, ma a causa della violazione delle quattro libertà rappresenta un pericolo per il mondo open source. Essendo un legale, Updegrove sa bene quanti grattacapi possono sorgere con l'introduzione di nuove licenze software o con l'adozione di più licenze per un singolo progetto. La Commons Clause rischia quindi di aggiungere uno strato di complessità per tutti coloro che vorranno lavorare con tale licenza.

Potrebbero per esempio crearsi alcune situazioni paradossali: in forma privata è possibile distribuire gratuitamente un programma con al suo interno parti di codice sotto Commons Clause, tuttavia l'hosting provider usato dall'utente per la distribuzione del programma potrebbe di fatto violare le clausole della Commons Clause. Infatti, stando alle sue clausole, non è permesso offrire supporto di alcun tipo o altri servizi derivati, compresi quelli degli hosting provider.

In pratica offrire un servizio cloud ad un cliente che distribuisce software sotto tale licenza porterebbe il provider a violare tale della licenza.

Questo prima o poi potrebbe generare paranoia tra i vari cloud provider che già oggi devono sottostare a regole molto stringenti, di conseguenza la libertà dell'utente ed il servizio offerto dal cloud provider potrebbero risultarne mutilati. Se adottata in modo massiccio la Commons Clause rischia veramente di disincentivare l'uso di programmi FOSS, portando le aziende a preferire quelli proprietari, in modo da evitare problemi legali con la Commons Clause.

Secondo i creatori della Commons Clause questa licenza nasce proprio per prevenire ed evitare i comportamenti predatori da parte delle aziende che distribuiscono software proprietario, dando ai developer open source più "potere". Ma di fatto tale licenza potrebbe destabilizzare il mondo open source.

Via Consortiuminfo

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