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Coronavirus: come nascono le fake news (e perché)

Sui social network le notizie false sul coronavirus superano di gran lunga l'informazione ufficiali: le ragioni potrebbero essere economiche e politiche.
Coronavirus: come nascono le fake news (e perché)
Sui social network le notizie false sul coronavirus superano di gran lunga l'informazione ufficiali: le ragioni potrebbero essere economiche e politiche.
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La diffusione del nuovo coronavirus 2019-nCoV, l'epidemia partita dalla città cinese di Wuhan e giunta già a oltre 60.000 contagi, desta comprensibile preoccupazione in tutto il mondo. Come è lecito attendersi in simili casi, all'aumento dei numero di contagi cresce anche il numero di persone che, guidate proprio dall'ansia, cercano senza sosta informazioni che possano rassicurarle.

Eppure, in questa fase di "fame informativa”, non sono le fonti ufficiali ad avere la meglio, come ad esempio il puntuale portale messo a disposizione dall'OMS. La gran parte degli utenti cerca informazioni sui social network, con il rischio di imbattersi in bufale, notizie imprecise o toni eccessivamente allarmistici. È quanto dimostra il Washington Post, nell'analizzare le principali forme di disinformazione sul coronavirus apparse nelle ultime settimane su Facebook, Twitter e affini. Ma per quale ragione gli utenti tendono a credere con più facilità alle fake news anziché alle fonti ufficiali?

Così come proprio il Washington Post rivela, sono moltissime le bufale sul coronavirus che hanno trovato terreno fertile sui social network, in particolare su Facebook. BuzzFeed News ha tenuto traccia delle principali fake news circolate in rete dall'annuncio del nuovo 2019-nCoV, a partire da una notizia completamente inventata fatta circolare già dai primi giorni di gennaio, in cui veniva asserita la morte di 112.000 cinesi a causa del virus. In realtà, ai tempi della pubblicazione i decessi ammontavano a pochissime decine e oggi, a quasi tre settimane di distanza, la conta dei morti si assesta a poco più di un migliaio di individui.

Pochi giorni più tardi, quando si è fatta sempre più consistente l'ipotesi che il virus potesse essere apparso nel mercato di Wuhan, è stato il turno della moltiplicazione sui social di immagini false. In particolare, lo scatto di una donna intenta a mangiare un pipistrello è rimbalzata da un account all'altro: descritta come una cittadina di Wuhan deceduta a causa del coronavirus, in realtà si trattava di una foto d'archivio, nemmeno scattata in Cina.

Negli ultimi giorni, invece, sta circolando massicciamente post sul "coronavirus creato in laboratorio”, sebbene su questa affascinante teoria non sia giunta alcuna conferma. Di recente, Facebook ha annunciato di essere intervenuto per limitare alcuni gruppi, dove venivano proposti agli utenti dei metodi alternativi per evitare il contagio, tra cui alcuni molto pericolosi se non letali: negli USA, ad esempio, alcuni navigatori avrebbero consigliato agli iscritti a un gruppo di bere acqua e candeggina.

Queste fake news hanno avuto moltissima presa sui navigatori, tanto da conquistare milioni di condivisioni e alterare la percezione stessa del coronavirus, creando un eccessivo allarmismo. Per quale ragione, però, si crede più facilmente alle fake news che alle notizie verificate?

Alla base vi potrebbe essere una vera e propria strategia da parte di alcuni gruppi di pressione, così come sembrano suggerire Jevin West e Carl T. Bergstrom - ricercatori dell'Università di Washington e coautori del libro "Calling Bullshit: The Art of Skepticism in a Data Driven World” - sempre dalle pagine del Washington Post. L'obiettivo non sarebbe quello di convincere i singoli su una singola questione del coronavirus - ad esempio che possa essere curato semplicemente con la vitamina C - ma creare confusione affinché, indipendentemente dall'argomento trattato, le persone non si fidino più dell'informazione ufficiale:

L'idea è di pubblicare talmente tanta [cattiva] informazione affinché le persone sentano di non poter mai arrivare alla verità. [...] Gli utenti sono più "suscettibili ai click" durante questi eventi, perché le informazioni provengono da fonti differenti e le persone non sanno a chi credere.

Spesso lo scopo è banalmente economico - aumentare il traffico su un sito, monetizzare l'allarmismo generato con banner pubblicitari o affiliazioni - altre è politico. Così aggiunge Bergstrom:

Ho visto usare la disinformazione per rinvigorire le fiamme del razzismo isolazionista. "Perché non cacciamo tutte le persone cinesi dall'America?". Questi account non stanno cercando di fare nulla per il coronavirus, vogliono rendere le persone più spaventate dai loro vicini o da altre nazioni.

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