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Storie di Game developers: FunGo Studios

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Nicola Brisotto e Giampaolo Greco, sono rispettivamente CEO e game designer di FunGo Studios, una startup del mondo gaming, fondata nel 2011 e specializzata nello sviluppo di giochi social e mobile che conta al sua attivo titoli come GOWAR, per Android e iOS, e District Dash, ultimo nato in uscita su Windows Phone. Abbiamo chiesto loro di condividere alcune riflessioni e suggerimenti sul mestiere del creatore di videogames.


Ci siamo incontrati in occasione dell'IGDS e iniziamo proprio parlando di questi eventi e della vostra esperienza al Microsoft AppCampus.

GG: È stata un’esperienza molto interessante, abbiamo avuto la possibilità di conoscere team da tutto il mondo, e lavorarci insieme. Ma non solo, anche le persone che facevano il “mentoring” erano inserite all’interno del mondo Microsoft, per esempio i creatori dell’interfaccia Metro hanno tenuto corsi sul design, chi ha invece lavorato su alcune logiche di business ci ha insegnato come usarle.

Era incentrato non solo sulla tecnologia, ma anche su come pubblicare app e giochi sul Windows Store e su altri market place in generale.

Molto importante è stata la parte sul naming, su cosa vendere, su come impostare le varie parti e funzioni dell’app o gioco, lasciando libertà al game designer e allo sviluppatore se adottare la loro visione o meno.

In ogni caso è stato importantissimo essere indirizzati, anche in maniera molto specifica, per noi è stato molto formativa questa esperienza.

NB: IGDS è un punto di contatto che consente di fare networking a livello nazionale, e creare connessioni che altrimenti sarebbe molto difficile realizzare. Infatti, la scena italiana è molto giovane e ci sono poche occasioni d’incontro. Questa è importantissima e inizia a prendere forma, anno dopo anno.

Quanto è lungo e quanto è impegnativo il passo da sviluppatore a imprenditore nel mondo gaming?

NB: Il passo non è lunghissimo, è più una questione di avere il giusto approccio mentale e convincersi che si vuole rischiare. Il passo successivo è cercare un finanziamento, puoi essere fortunato e impiegarci sei mesi oppure meno e arrivarci dopo due anni o non trovarlo affatto. È un aspetto legato al prodotto, alla casualità, all’approcciare la persona giusta perché non tutti i fondi d’investimento considerano il mondo del gaming. Altrimenti la strada è quella di pubblicare con le proprie risorse finanziarie, individuando un mercato e/o una nicchia che permette di metterti in evidenza.

Cosa è di maggiore aiuto da questo punto di vista?

NB: Sicuramente è utile la partecipazione a iniziative come AppCampus, un’occasione consigliabile sia a chi lo fa per passione sia agli sviluppatori indipendenti. Non basta avere una buona idea, bisogna riuscire a proporla nel giusto modo, dargli una forma, per finire riuscire a costruire un team.

Quanto è difficile nella realtà italiana raccogliere fondi?

NB: La realtà italiana è piccolissima rispetto a nazioni “vicine” come possono essere Germania e Francia. I Venture Capitalist si contano sulle dita di una mano, però la nostra realtà sta crescendo, al momento ci sono molta attenzione e rumore – forse quasi troppo – attorno al tema delle startup, con numeri piccoli e molta competizione.
Spesso il problema è di non trovare le persone, il messaggio che mi sento di dare è di bussare alle porte dei Venture Capitalist italiani, perché le possibilità ci sono e spesso ci si arrende troppo presto non arrivando nemmeno a proporsi.

Quanto conta il marketing nel mondo del gaming?

NB: Il peso è notevole, nel senso che il tema dell’acquisizione utenti è importante, soprattutto quando vai a scontrarti con altri player che sanno giocare benissimo con il marketing, avendo a disposizione cifre molto alte. I big player, quelli che dominano le classifiche dei vari store, dispongono di cifre a cinque zeri per ogni giorno, mentre le piccole realtà indipendenti normalmente hanno questi cinque zeri per un anno di sviluppo. Si compete con dei giganti, così bisogna riuscire a indovinare un elemento unico del tuo gioco, riuscire a sfuggire lo scontro diretto non clonando un titolo di successo, sarebbe un grosso errore che porterebbe a un vero e proprio massacro. È invece fondamentale creare un’identità propria, e far passare questo aspetto fondamentale attraverso il marketing.

Operate su una piattaforma unica o su più mondi?

NB: Ultimamente ci stiamo concentrando su Windows Phone, ma operiamo anche sulle altre principali piattaforme mobile (iOS e Android).

Quale vedete con maggiori potenzialità?

NB: È una domanda difficile, ognuna ha i suoi pro e contro... ci sono alcune piattaforme dominanti, quella di Apple è ricca perché sono device di fascia alta, però è “popolata” ed è molto difficile farsi notare. Android invece è grande, ma ha difficoltà di monetizzazione e presenta una grandissima frammentazione dei dispositivi. Windows Phone è più piccola, la vedo come un “green field”, con grandissime potenzialità di crescita. È un po’ come rivedere il mercato iOS di 3-4 anni fa, con meno competizione e maggior opportunità di successo.

L’acquisto “in app” è un’opportunità o una criticità?

NB: Chiaramente è un’opportunità di monetizzazione, bisogna stare attenti a come la si utilizza. È facile incorrere in errori, il rischio a volte è di penalizzare troppo l’esperienza utente, creando un gioco che si dimentica di essere tale e pensa troppo al denaro. Credo si debba puntare in primis alla qualità e all’originalità del titolo, e poi all’utilizzo corretto di feature addizionali tra cui l’acquisto “in app”.

GG: Una cosa importante che molti non fanno, è ideare prima il gioco e poi creare il target. In realtà è quasi più saggio pensare prima al target e poi costruirci sopra un gioco. Infatti, così sai già se chi giocherà al tuo titolo sarà un utente che spende “in app” o meno.

Vi dedicate a una precisa tipologia di gioco o siete più versatili?

NB: Siamo nati con l’idea iniziale di realizzare giochi geo-localizzati, ci ha accompagnati per molto tempo e anche l’ultimo gioco nel suo “game design” iniziale prevedeva questa feature. Abbiamo addolcito questo approccio perché ci siamo resi conto che ci rallentava nello sviluppo, dovendo confrontarci anche in problematiche nella gestione dei dati, che pesano tanto per una software house piccola come la nostra oltre a penalizzare altri aspetti del gioco.
Rimane comunque un filone, ora inteso in senso più ampio, che ci aiuta a dare un tocco di personalità ai giochi. Non è più al centro della user experience, ma viene usata come il sale per intenderci...

Vi sentite di dare qualche consiglio a chi vuole entrare in questo mondo?

NB: Bisogna cercare di non esagerare con le feature delle app e dei giochi, di innovare senza stravolgere un genere, realizzare titoli commisurati al proprio budget e al tempo che si intende “spendere” per la propria creazione. Bisogna fare un passo alla volta, sperimentare con poco alla volta, per crescere gradualmente…

GG: Soprattutto bisogna celebrare i propri fallimenti, nel senso che quello che fai di sbagliato non è per forza sbagliato. Da un fallimento possono nascere tante cose belle e positive: hai imparato a fare qualcosa, ti sei scontrato con un mercato, ecc. È necessario fare un “post mortem” di quello che si è realizzato, una sorta di elaborazione del lutto, mai scoraggiandosi alla prima difficoltà e fallimento e così andare avanti.

È un mercato duro quello dei videogiochi e delle startup, e purtroppo devi già partire con l’idea che probabilmente qualcosa andrà male.

Secondo me c’è tanto da imparare, e nel nostro Paese, riprendendo quello detto da Nicola in precedenza, è molto difficile trovare persone con cui lavorare in questo campo. Manca una struttura valida che sforni persone con certe abilità o che hanno fatto un certo tipo d’esperienza. In sostanza, l’Italia è spesso un punto di partenza ma non è mai un punto d’arrivo... vai all’estero, e quando lo fai, non torni più. Ed è un vero peccato.

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